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Tag: Mario Cavalli

Carnevale

Il Carnevale non è mai stata la mia festa preferita, almeno dal momento in cui mi sono reso conto  che le clave di plastica imbottite con la sabbia o la carta di giornale bagnata potevano fare molto male…Eppure c’era stato anche un periodo dove  a noi bambini bastava una maschera di cartoncino stampato, con le sembianze di personaggi delle favole come Pinocchio, il Gatto e la Volpe o la Fata dai capelli Turchini. Avevano un elastico che si rompeva subito, due piccoli fori sugli occhi e sulla bocca, sostituiti qualche anno dopo da maschere di plastica che ti avvolgevano il viso per intero , solo che con il vapore e il sudore si riempivano di umidità e perciò, non riuscendo a respirare, venivano accantonate molto presto. Ma il vero pezzo “cult” dei nostri carnevali era il vestito da Zorro. Alle elementari la mia classe contava una ventina di Zorro, mentre la sezione femminile una ventina di Fatine (l’equivalente femminile del costume da Zorro). Devo confessare a distanza di tanti anni che Zorro non mi stava molto simpatico, questa cosa che tutti fossero Zorro con gli stessi spadini flessibili, gli stessi baffetti fatti con la matita del trucco della mamma e gli stessi cappellini mi portava a preferire l’indiano. Poi naturalmente non mancavano cowboy,  moschettieri e anche qualche Pierrot, sempre molto immedesimati nelle loro espressioni tristi visto che , obbligati probabilmente dalla mamma a vestirsi in quel modo, venivano puntualmente presi in giro dai ragazzi più grandi. Quante corse e inseguimenti nei corridoi dell’ oratorio, tra coriandoli, stelle filanti e bombette puzzolenti. Naturalmente il vincitore dell’immancabile concorso era sempre un costume originale, spesso preparato a casa dal genitore proprio per l’occasione.  I nostri costumi da cartoleria difficilmente potevano ambire a qualche premio…. Poi con gli anni gli Zorro, i Cowboy o i Moschettieri, venivano accantonati in cantina o passati eventualmente al fratello o alla sorella più piccoli.  Per i ragazzi più grandi era sufficiente mettersi addosso quello che si riusciva a raccattare dentro i bauli delle soffitte e bastava un mozzicone di legno bruciacchiato per disegnare i baffi o la barba finta sul viso, con un tabarro e un cappellaccio che invece di far divertire mettevano paura ai più piccoli. E i coriandoli e le stelle filanti venivano sostituite dalle clave di plastica che i ragazzi più “vivaci” riempivano di sabbia o carta di giornale (nei Carnevali più freddi c’era anche la variante neve….).  In quei periodi vigeva una specie di coprifuoco e non era molto salutare girare per le vie del paese. Ognuno di noi penso che nella sua gioventù sia stato vittima di un inseguimento da parte di “focosi” coetanei  che volevano assestare qualche colpo di clava e che abbia ricevuto almeno una volta una bastonata in testa, sperando sempre di essere colpito da una clava vuota. E le ragazze non potevano pensare di essere immuni da tutto questo anche se per loro c’era l’incubo della bomboletta di schiuma da barba (dopo tanti anni ho ancora il ricordo dell’aria che sapeva di schiuma).  Nessuna ragazza in quel periodo era così ingenua da indossare una pelliccia e spesso uscivano accompagnate da qualcuno. Naturalmente  i giubbotti da portare in lavanderia  erano parecchi…  I nostri non erano sicuramente Carnevali sofisticati come quelli della vicina Busseto, con la maestosità dei loro carri allegorici, ma sicuramente molto meglio di quelli attuali, dove mi pare che più per i figli Carnevale sia una festa per i genitori. Questo è il periodo dei bambini agghindati pronti a finire su Facebook, Instagram e Twitter. Mi sembra ormai una festa che non dice nulla, che ha dei contorni color seppia, come quelli sbiaditi di una vecchia foto

Mario Cavalli

Ricordi di nonna, anzi bisnonna !

Mia nonna, anzi la mia bisnonna, era nata nel 1890 e quella data mi aveva sempre fatto un certo effetto. Aveva visto la morte di Verdi, l’assassino di Re Umberto, due guerre mondiali, la Belle Epoque, la nascita del fascismo e la sua caduta, il primo ed il secondo dopoguerra e tutta l’evoluzione tecnico e scientifica del ventesimo secolo. Per un bambino come me, affascinato dalla storia contemporanea, era un piacere ascoltare dalla sua voce avvenimenti che lei aveva vissuto in prima persona. Mio nonno, anzi il mio bisnonno, era addirittura del 1880, ma essendo morto nel 1964 ho ricordi molto confusi di lui. Una vita dura quella di mia nonna, come per tante donne in quegli anni, originaria della Romagna, aveva seguito suo figlio frate (mio zio padre Teofilo) nel suo peregrinare nei conventi del Nord Italia, prima Lugo di Romagna, poi Genova, con i primi bombardamenti dal mare e quando mio zio fu trasferito nel Convento di Cortemaggiore, uno sconosciuto, almeno per i miei nonni,  paesino della Pianura Padana ancora lontano da diventare Supercortemaggiore, aveva preferito tornare nei suoi luoghi di origine, sulle colline sopra Rimini. Ma nei primi mesi del 1945, con la linea Gotica che scatenava la sua furia proprio sulla Romagna, aveva intrapreso a piedi con un carretto trascinato da mio nonno e con sopra mia madre bambina e mia zia Teresina, l’ennesimo viaggio della speranza, questa volta verso Cortemaggiore, avendo saputo da mio zio frate che in quelle zone la guerra aveva picchiato meno. Un viaggio durato settimane, attraversando tutta la Via Emilia, sotto ai continui bombardamenti e ai tanti pericoli di quel periodo buio. Non mi sarei mai stancato di ascoltare da mia nonna o da mia zia la storia di quel viaggio che per un bambino come me, e non solo, aveva il sapore di un’avventura ai confini della realtà. E così una perfetta “adzora” romagnola si era trovata catapultata nel centro della Pianura Padana. Nella stessa Regione di partenza ma con differenze non certo trascurabili per lei. Niente mare, niente dolci colline dell’ entroterra, ma solo una piatta distesa di campi, intervallati da torrenti e canali di irrigazione. E la nebbia, fino a quei tempi per lei sconosciuta…Ma il problema maggiore almeno agli inizi era stata sicuramente la cucina. Quante piadine ho mangiato da bambino, purtroppo quasi sempre con la verdura…Poi piano piano l’integrazione in questa nuova realtà che andava di pari passo con l’espansione del paese dopo la scoperta del petrolio. Mio nonno aveva imparato a menadito  la strada che portava all’ Osteria di Santi, il Convento dei frati era per noi un importante punto di riferimento visto che mio zio era il responsabile del Collegio francescano e mia nonna aveva anche iniziato a cucinare i tortelli di erbetta e gli anolini (purtroppo ai pisarei e ai chisolini non ci siamo arrivati…). Il tipico accento romagnolo non lo aveva perso naturalmente, ma si sentiva ormai una vera magiostrina tanto che alla sua morte non volle tornare in Romagna accanto ai suoi genitori e alle sue sorelle,  ma riposare nel cimitero di quel  paese che le aveva offerto una nuova opportunità di vita.

Mario Cavalli

Nella foto la mia bisnonna con accanto mio zio Padre Teofilo e mia nonna, purtroppo mai conosciuta perché morta nel 1940 poco dopo la nascita di mia madre.

Ricordi Estivi anni ’90

L’ascolto di un brano e il clima caldo di questi giorni mi hanno riportato alla memoria un periodo bellissimo che ricorderò per sempre…. Luglio  anni 90 quelli di Baggio e delle notti magiche…quelli che quando in sella al mio “ciao” bianco  e con i miei compagni d’avventura, tiravo pecorella (lui che  aveva solo una bici dell’800 ) e si andava nei campi oltre san Pietro in cerro a raccogliere  l’aglio. Finita la giornata tornavamo in paese e la  tappa fissa era il campo da tennis. Una volta entrati  la prima cosa che ci veniva detta era “siete stati in piscina ?”… Le risposte le lascio immaginare e si cominciava cosi a ridere con “battute su battute” (tanto era un campo da tennis).

Chi giocava sul campo di terra rossa si girava scocciato chiedendo un po’ di silenzio e noi imitando lo speaker “quiet please “… (e giù a ridere) Milo serra  continuava imperterrito a raccontare barzellette e noi cercavamo di stare in silenzio ma era impossibile ricordo che Mario Cavalli cervava di riportare la serietà “dai milo lasa le “… missione impossibile.

A noi, che più che altro giocavamo a calcio,  piaceva però  prenotare qualche ora a tennis… ma era sempre occupato! I nomi che ricordo sempre stampati sul foglio delle prenotazioni erano quelli di Gambazza  e  Maffini Ivo, Cavalli, Compiani e anche Serra ma per noi ragazzini le uniche ore libere erano quelle che non voleva nessuno quelle dove con 40 gradi all’ombra non riuscivi nemmeno a vedere la pallina tanto era il sudore che ti grondava negli occhi e la polvere rossa  sollevata creava un’aria irrespirabile tanto che avevamo una bandana sulla fronte ed una al collo…

Però  quanto sono stati  belli quei tempi ? Ora vi chiederete…. Qual è la canzone che ha ricordato tutto questo e soprattutto chi era pecorella ? Rimarrà un segreto nascosto in uno spicchio d’aglio.

Filippo Corti