Carnevale
Il Carnevale non è mai stata la mia festa preferita, almeno dal momento in cui mi sono reso conto che le clave di plastica imbottite con la sabbia o la carta di giornale bagnata potevano fare molto male…Eppure c’era stato anche un periodo dove a noi bambini bastava una maschera di cartoncino stampato, con le sembianze di personaggi delle favole come Pinocchio, il Gatto e la Volpe o la Fata dai capelli Turchini. Avevano un elastico che si rompeva subito, due piccoli fori sugli occhi e sulla bocca, sostituiti qualche anno dopo da maschere di plastica che ti avvolgevano il viso per intero , solo che con il vapore e il sudore si riempivano di umidità e perciò, non riuscendo a respirare, venivano accantonate molto presto. Ma il vero pezzo “cult” dei nostri carnevali era il vestito da Zorro. Alle elementari la mia classe contava una ventina di Zorro, mentre la sezione femminile una ventina di Fatine (l’equivalente femminile del costume da Zorro). Devo confessare a distanza di tanti anni che Zorro non mi stava molto simpatico, questa cosa che tutti fossero Zorro con gli stessi spadini flessibili, gli stessi baffetti fatti con la matita del trucco della mamma e gli stessi cappellini mi portava a preferire l’indiano. Poi naturalmente non mancavano cowboy, moschettieri e anche qualche Pierrot, sempre molto immedesimati nelle loro espressioni tristi visto che , obbligati probabilmente dalla mamma a vestirsi in quel modo, venivano puntualmente presi in giro dai ragazzi più grandi. Quante corse e inseguimenti nei corridoi dell’ oratorio, tra coriandoli, stelle filanti e bombette puzzolenti. Naturalmente il vincitore dell’immancabile concorso era sempre un costume originale, spesso preparato a casa dal genitore proprio per l’occasione. I nostri costumi da cartoleria difficilmente potevano ambire a qualche premio…. Poi con gli anni gli Zorro, i Cowboy o i Moschettieri, venivano accantonati in cantina o passati eventualmente al fratello o alla sorella più piccoli. Per i ragazzi più grandi era sufficiente mettersi addosso quello che si riusciva a raccattare dentro i bauli delle soffitte e bastava un mozzicone di legno bruciacchiato per disegnare i baffi o la barba finta sul viso, con un tabarro e un cappellaccio che invece di far divertire mettevano paura ai più piccoli. E i coriandoli e le stelle filanti venivano sostituite dalle clave di plastica che i ragazzi più “vivaci” riempivano di sabbia o carta di giornale (nei Carnevali più freddi c’era anche la variante neve….). In quei periodi vigeva una specie di coprifuoco e non era molto salutare girare per le vie del paese. Ognuno di noi penso che nella sua gioventù sia stato vittima di un inseguimento da parte di “focosi” coetanei che volevano assestare qualche colpo di clava e che abbia ricevuto almeno una volta una bastonata in testa, sperando sempre di essere colpito da una clava vuota. E le ragazze non potevano pensare di essere immuni da tutto questo anche se per loro c’era l’incubo della bomboletta di schiuma da barba (dopo tanti anni ho ancora il ricordo dell’aria che sapeva di schiuma). Nessuna ragazza in quel periodo era così ingenua da indossare una pelliccia e spesso uscivano accompagnate da qualcuno. Naturalmente i giubbotti da portare in lavanderia erano parecchi… I nostri non erano sicuramente Carnevali sofisticati come quelli della vicina Busseto, con la maestosità dei loro carri allegorici, ma sicuramente molto meglio di quelli attuali, dove mi pare che più per i figli Carnevale sia una festa per i genitori. Questo è il periodo dei bambini agghindati pronti a finire su Facebook, Instagram e Twitter. Mi sembra ormai una festa che non dice nulla, che ha dei contorni color seppia, come quelli sbiaditi di una vecchia foto
Mario Cavalli
