«Studiando la storia della famiglia Pallavicino e del loro arrivo alla fine del ‘400 in Cortemaggiore, dopo che tante volte avevo preso in mano la piantina del paese e lo stemma della famiglia, ho notato un particolare che fino ad oggi mi era sfuggito; sovrapponendo alla planimetria del centro antico (entro le mura) di Cortemaggiore lo stemma della famiglia Pallavicino si nota una perfetta aderenza tra i due disegni. Nei documenti della fine del ‘400 si parla di questo progetto, (della costruzione della nuova capitale dello stato pallavicino), i lavori sarebbero stati affidati all’architetto ducale Maffeo da Como ed al piacentino Ghiberto Manzi.
Si è sempre pensato quindi a Cortemaggiore come frutto del progetto di una “città ideale” che seguiva le nuove regole del Rinascimento, larghe vie, portici, strade dritte e regolari, altri invece supponevano che lo schema di Cortemaggiore richiamasse l’antico insediamento romano, le vie che partendo dall’antico cardo e decumano massimo si sviluppavano per tutto il paese. (Dodi, Torricella, ecc.).
Quella operata dai Pallavicino è una vera e propria rifondazione dell’antica Cortemaggiore, (si cercherà anche di cambiarne il nome in “Castel Lauro”, ma senza successo …), viene ridisegnato ex novo l’intero paese, eliminati gli edifici vecchi e le strette strade medievali per far spazio alla nuova città; la Capitale.
La struttura perfettamente ridisegnata coincide esattamente con lo stemma della famiglia regnante, non solo; il centro del potere, la rocca ed il palazzo, vengono proprio a coincidere con la parte dello stemma che rappresenta l’aquila imperiale, (sinistra in alto, corrispondente all’angolo sud-est del borgo). Le mura di cinta seguono proporzionalmente le linee di confine dello stemma, una firma indelebile dei Pallavicino nel tempo.
Ho cercato notizie riguardanti la costruzione del paese. Si parla in effetti sempre di progetto unitario, di ricostruzioni ex novo, di definizione della struttura del paese attraverso disegni e progetti, di costruzioni di edifici sia pubblici che privati che religiosi, e di un sistema di mura e fossati che delineava il perimetro di questa nuova città. Vengono iniziati subito i lavori, della rocca e del palazzo, contemporaneamente al sistema difensivo, poi la chiesa, l’ospedale per i pellegrini … tutti blocchi regolari, precisi lotti di terreno che ne compongono la scacchiera.
La mia teoria sarebbe quindi quella che gli architetti Maffeo da Como e Ghiberto Manzi abbiano disegnato il progetto della nuova Cortemaggiore ricalcandone la planimetria dallo stemma della casata che avrebbe regnato su quella città, lo stemma proprio dei Pallavicino di Cortemaggiore, come lo si trova affrescato nella chiesa dell’Annunciata».
La Chiesa Conventuale di “Nostra Donna Annunciata” in Cortemaggiore voluta da Anastasia Torelli, moglie del Marchese Gian Lodovico Pallavicino, per ospitare una comunità francescana, venne eretta tra il 1487 ed il 1499, anno della consacrazione, insieme al complesso conventuale. Vari artisti col passare degli anni vennero chiamati ad arricchire questo gioiello Quattrocentesco, che vanta tra refettorio e strutture ancora originali anche il più grande chiostro della provincia di Piacenza. Ad opere firmate da nomi importanti come Pordenone, Carracci, Zenale si accostano numerose altre opere tuttora senza attribuzioni,(gli archivi sono stati spostati a Bologna ed in parte dispersi dopo le soppressioni napoleoniche), ad altre, ancora, con recenti attribuzioni.
Autore Luigi Miradori detto il Genovesino soggetto San Nicola di Bari con l’offerente Martino Rota. Pinacoteca di Brera Milano.
Tra queste opere, di recente attribuzione, una tela Seicentesca
catalogata nelle schede della soprintendenza negli anni ’80 del ‘900
come opera di “ignoto pittore emiliano”, datata tra la fine
XVII e gli inizi XVIII secolo, luogo di collcazione: “Chiesa
conventuale dell’Annunciata, seconda cappella a sinistra”, dove
tutt’ora si trova, provenienza: “dalla saletta prima del
refetorio”, oggetto: “dipinto raf. S.Andrea Avellino”.
Questa tela è stata recentemente attribuita ai fratelli Bonisoli,
(Agostino? Carlo?) ed è stato anche riaggiornato il tema ed il
soggetto rappresentato, passando da Sant’Andrea Avellino a
Sant’Andrea Corsini.
Agostino Bonisoli (Cremona 1637/8 Tornata 1707), scrive Annunziata
Miscioscia in “I fratelli Bonisoli, pittori cremonesi ra XVII e
XVIII secolo”, è oggi scarsamente noto, ma fin dal suo primo
affacciarsi alla scena artistica cremonese riscosse favorevoli
attenzioni da parte di importanti e potenti personaggi. Uno tra
questi don Alvaro de Quinones, castellano di Cremona, collezionista
di dipinti e particolarmente legato al pittore Luigi Miradori a cui
aveva commissionato numerose tele. Bonisoli rimane sotto la guida di
Luigi Miradori, detto il Genovesino (Genova 1605/10-1656), fino alla
morte del maestro. Opere di Agostino figurano precocemente nelle
collezioni private (inventario della famiglia Bussani del 1678),
insieme a tele del Genovesino, di Giacomo Miradori, di Francesco
Caffi, di Palma il giovane e del Chiaveghino. Altro committente di
una certa importanza fu Giovan Batista Agosti (1656-1730), patrizio
piacentino e parroco di Cortemaggiore dal 1685 al 1730 che durante i
suoi quarantacinque anni di attività spesse volte ricorse a
maestranze cremonesi, (Carlo e Agostino Bonisoli,Giueppe Natali,
Antonio Maria Chiari, Giovanni Battista Suardi). L’opera di
Cortemaggiore è la prima pervenuta; dice ancora Annunziata
Miscioscia “a fronte dell’avvio di una precoce attività
individuale, intorno alla fine degli anni cinquanta dei Seicento”
la prima opera pervenutaci risale al 1665 ed è il dipinto
raffigurante Sant’Andrea Corsini conservato a Cortemaggiore nella
chiesa di Santa Maria Annunciata. Caratterizzato da una certa
complessità compositiva, le architetture nello sfondo, il quadro
risente dell’ influenza di Luigi Miradori, specie nella figura di
Sant’Andrea che richiama il San Nicola di Bari della Pinacoteca di
Brera (anch’esso di recente attribuzione, vedesi “Brera mai
vista, Genovesino rivelato” Electa). L’opera è stata riferita a
Carlo Bonisoli ma la collocazione cronologica al 1665 non collima con
l’attribuzione a Carlo che era nato nel 1652. La posizione del santo,
nel quadro di Agostino Bonisoli è esattamente coincidente con quella
dipinta dal maestro Miradori nella tela del 1654 raffigurante “San
Nicola di Bari con l’offerente Martino Rota”. La tela Braidense
rimasta finora priva di storia antica, passata di mano a vari
prorietari ed approdata a Brera dove è conservata dal 1960, solo di
recente si sono scoperti committente e datazione precisa; un vero
proprio enigma, “l’opera oggi a Brera si collocherebbe
agevolmente nel catalogo del Miradori, (…) sono infatti chiarissimi
i rimandi ai dipinti più noti, dalle marcature chiaroscurali,
all’accensione cromatica del rosso nel manto del santo (…).
All’altezza del 1654 il pittore ha da tempo raggiunto a Cremona un
ruolo primario. (Genovesino rivelato. Un pittore, un committente, un
enigma, di Lia Bellingeri), e ancora “nel caso del dipinto di
Brera una dettagliata relazione del 1714 sulle opere che in quel
momento ornavano la chiesa dei Barnabiti (Cremona), San Vincenzo,
lascia pochi dubbi sulla sua identificazione: “fuori da detta
cappella di San Giacomo al lato sinistro sotto dell’arco, sta appeso
un quadro in tela di mediocre grandezza. Rappresenta questo
l’imagine di San Nicolo vescovo di Mira e a tale pittura si
sottoscrisse in un angolo Januensis Aloysius Miradorus f. anno 1654”
. La collocazione presso la cappella di maggiore rilevanza della
chiesa, affidata alle cure di uno dei più importanti luoghi pii
laici cittadini, la Compagnia della Carità, che tra il 1644 e 1658
annovera tra i membri della compagnia Cipriano Rota, che proprio nel
1654, data della tela del Genovesino, ne risulta tesoriere; infine,
lo stemma visibile nella tela è appunto quello dei Rota, (casata
presente a Cremona e nel nord Italia).
Due tele e due storie, nel 1665 Agostino Bonisoli dipinge per i frati
francescani, forse su suggerimento del parroco Agosti, una tela per
la chiesa conventuale di Cortemaggiore, il pittore a undici anni di
distanza dall’esecuzione della tela del maestro decide di copiare
esattamente le sembianze di San Nicola di Bari per comporre il suo
Sant’Andrea Corsini; se il Bonisoli è rimasto per cinque anni sotto
la guida del Miradori fino alla sua morte è possibile che abbia
visto il momento dell’esecuzione della tela di Brera? “Bonisoli
rimane sotto la guida del Miradori fino alla morte del maestro.
Questo periodo sarebbe durato un anno secondo lo Zaist, ma in realtà
si protrasse per un periodo maggiore, stimabile intorno ai cinque
anni” (da nota 3 pag.76 “I fratelli Bonisoli, pittori
cremonesi” di Annunziata Miscioscia). Oltre vedere il maestro
all’opera sulla tela braidense è possibile che Agostino Bonisoli
abbia visto e copiato i disegni preparatori ed abbia ripreso proprio
da quelli? Oppure è più plausibile che si sia recato
successivamente alla Cappella cremonese in San Vincenzo a visionare
la tela una volta avuta la richiesta del quadro di Cortemaggiore?
Agostino Bonisoli e Luigi Miradori hanno un anello di congiunzione
ben visibile e suggellato in questa tela nella Chiesa dell’Annunciata
di Cortemaggiore, che ci fa solo in parte intuire degli scambi e
delle influenze nelle biografie dei pittori, tra bottega arte e vita.
“Brera mai vista. Genovesino rivelato. Un pittore, un
committente, un enigma”. Testi Lia Bellingeri, Electa 2004.
“I fratelli Bonisoli, pittori cremonesi fra XVIIe XVIII secolo”.
Annunziata Miscioscia, Arte Lombarda, Nuova Serie, No. 166 (3)
(2012), pp.76-89.