L’ascolto di un brano e il clima caldo di questi giorni mi hanno riportato alla memoria un periodo bellissimo che ricorderò per sempre…. Luglio anni 90 quelli di Baggio e delle notti magiche…quelli che quando in sella al mio “ciao” bianco e con i miei compagni d’avventura, tiravo pecorella (lui che aveva solo una bici dell’800 ) e si andava nei campi oltre san Pietro in cerro a raccogliere l’aglio. Finita la giornata tornavamo in paese e la tappa fissa era il campo da tennis. Una volta entrati la prima cosa che ci veniva detta era “siete stati in piscina ?”… Le risposte le lascio immaginare e si cominciava cosi a ridere con “battute su battute” (tanto era un campo da tennis).
Chi giocava sul campo di terra rossa si girava scocciato chiedendo un po’ di silenzio e noi imitando lo speaker “quiet please “… (e giù a ridere) Milo serra continuava imperterrito a raccontare barzellette e noi cercavamo di stare in silenzio ma era impossibile ricordo che Mario Cavalli cervava di riportare la serietà “dai milo lasa le “… missione impossibile.
A noi, che più che altro giocavamo a calcio, piaceva però prenotare qualche ora a tennis… ma era sempre occupato! I nomi che ricordo sempre stampati sul foglio delle prenotazioni erano quelli di Gambazza e Maffini Ivo, Cavalli, Compiani e anche Serra ma per noi ragazzini le uniche ore libere erano quelle che non voleva nessuno quelle dove con 40 gradi all’ombra non riuscivi nemmeno a vedere la pallina tanto era il sudore che ti grondava negli occhi e la polvere rossa sollevata creava un’aria irrespirabile tanto che avevamo una bandana sulla fronte ed una al collo…
Però quanto sono stati belli quei tempi ? Ora vi chiederete…. Qual è la canzone che ha ricordato tutto questo e soprattutto chi era pecorella ? Rimarrà un segreto nascosto in uno spicchio d’aglio.
A cavallo degli anni 60 /70 le piscine erano ancora per noi ragazzi, abituati alle partite di strada o al massimo allo spelacchiato campetto dei frati, impianti ammirati solo durante le Olimpiadi in tv o nelle foto delle ville di qualche riccone di quei tempi. Si narrava di una piscina a Salsomaggiore, ma con acqua calda e da uno strano sapore, e la maggioranza di noi storceva la bocca solo a parlarne. Eppure, in quelle assolate estati della nostra giovinezza, il ghiacciolo all’anice o al tamarindo non bastava più a soddisfare il nostro desiderio di fresco. L’Arda, che era stata piscina e anche mare dei ragazzi più grandi, stava iniziando quel processo di inquinamento irreversibile che continua ancora ai giorni nostri ed era ormai impossibile pensare di rinfrescarsi in qualche “bucone” del torrente tra Cortemaggiore e Fiorenzuola come si faceva fino a pochi anni prima. Le alternative non erano molte, qualche cava della RDB , con un fondale viscido e torbido che a molti non piaceva, oppure i canali di irrigazione dalle parti di Polignano, con acqua fresca e limpida che scendeva dalla diga e che dava l’impressione ai noi ragazzi di nuotare in qualche torrente di montagna. Ricordo la partenza di spedizioni di ragazzi in bicicletta nei pomeriggi estivi e i tuffi e le nuotate in quei vasconi di cemento che ai nostri occhi erano meglio di Rimini o Riccione. E il ritorno a casa stanchi, bruciacchiati dal sole, ma soddisfatti per la giornata passata. Sinceramente non saprei dire quanto di pericoloso ci fosse in queste avventure, ma sicuramente la soglia del pericolo a quei tempi era molto diversa da quella dei giorni nostri…Poi, arrivarono le prime piscine private: il Colle e il Mondo Blu, con i primi “Ciao” o Garelli che trascinavano attaccati al braccio del guidatore i ragazzi in bicicletta ancora sprovvisti di motorino (tanto per restare in tema di pericolo..). E allora le spedizioni ai vasconi di Polignano sparirono in fretta così come erano iniziate e con questo anche un pezzetto della nostra gioventù.
Stasera il suono delle campane della vicina Chiesa dei frati mi ha fatto tornare alla mente i mesi di maggio di tanti anni fa quando nel nostro paese i rosari recitati in tanti garage, case, o giardini privati erano per noi bambini il preludio della stagione estiva che stava per arrivare. Era il momento di lasciarci alle spalle i mesi bui e freddi dell’inverno dove era praticamente impossibile uscire alla sera dopo cena se non accompagnati dai genitori solo per eventi speciali ed avere l’occasione di vederci in orari “da grandi” che non fossero la mattina a scuola o nei giochi pomeridiani. Naturalmente del Rosario ci importava poco o niente. Ma i pochi minuti che riuscivamo a rubare al termine della funzione prima che i nostri genitori ci riportassero con le buone o con le cattive a casa, erano per noi un frutto proibito che aspettavamo da mesi. Un mese particolare maggio, il buio alla sera non arrivava mai, la temperatura ti invogliava a metterti le maniche corte, ci sembrava di toccare con mano le agognate vacanze estive, ma la scuola non era ancora terminata e senza il Rosario non avremmo mai potuto sperare in una libera uscita anticipata. E questo maggio del 2020, così strano e diverso per altri motivi mi fa ancora pensare al bambino di 50 anni fa che scalpitava per scendere in strada con gli amici.
Estate 2019: in uno dei miei abituali giri estivi serali con la mia cagnolina Peggy in una Cortemaggiore semi-deserta, mi sono ritrovato, quasi senza accorgermi, davanti al vecchio campo da tennis di Via Mattei. Lo stato di abbandono in cui si trovano il campo in terra rossa, gli spogliatoi, il baracchino, persino l’edificio dove vivevano diverse famiglie di dipendenti Eni e anche sede del barino, mi hanno per un attimo scosso. Ma la cosa che più mi ha colpito è stato il silenzio assordante del luogo, pur essendo a pochi metri da una strada trafficata. Allora ho provato per un attimo a chiudere gli occhi estraniandomi dalla realtà e magicamente ho risentito le voci dei tennisti che si mescolavano con quelle dei giocatori di poker che attorno a un vecchio tavolo di ferro circolare continuavano la loro attività incuranti di tutto quello che avveniva sul rettangolo di gioco. Ho rivisto i volti di ragazzi e ragazze seduti sulle panchine attorno al campo a vedere qualche amico giocare o più semplicemente per passare qualche ora in questa zona franca del paese che soprattutto d’estate offriva ben poco ai giovani e mi sono chiesto come tutto questo era potuto iniziare e finire in così breve tempo. Per me e per tanti ragazzi della mia età o giù di lì, tutto ha inizio nel 1976, quando Adriano Panatta in rapida successione vinceva gli Internazionali d’Italia e il Roland Garros e infine la coppa Davis in Cile con Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli. Fino a quell’anno per noi, ragazzi di paese, il tennis era uno sport per ricchi figli di papà. Sapevamo del campo, delle lezioni impartite anche da maestri famosi, di nostri coetanei, soprattutto figli di dipendenti Eni ma anche di qualche “infiltrato” che si dilettavano in questo sport, ma da quando eravamo ancora in fasce sapevamo che il canale del mulino era la nostra colonna d’Ercole, come lo sapevano, a volte anche pagandone le conseguenze, i nostri dirimpettai. Per noi il calcio, i giri in bicicletta, le nuotate nei canali di irrigazione d’estate, il guardie e ladri con il Bruto nel periodo delle ciliegie, erano il nostro mondo. C’era stato qualche approccio con gli abitanti dell’Agip è vero, specie in sfide calcistiche sui loro perfetti campi d’erbetta inglese davanti alle villette dei dirigenti, ma quasi sempre sfociati in liti furiose. Dal 1976 però le cose erano cambiate, il tennis stava diventando uno sport popolare e molti di noi avevano deciso di provarci. All’inizio ci eravamo presentati in punta di piedi, con improbabili abbigliamenti e racchette di fantozziana memoria (ricordo la mia prima racchetta, una Dely e la mia delusione quando avevo scoperto non essere, a dispetto del nome, di provenienza esotica, ma “made in Lugagnano”). Un approccio molto minimalista, anche perché il gestore di quel tempo, non vedeva di buon occhio noi neofiti ma specialmente le nostre scarpe, che a suo parere lasciavano tracce quasi indelebili sulla terra rossa (all’inizio era impensabile presentarsi con scarpe esclusivamente da tennis e allora utilizzavamo normali scarpe da ginnastica con “carroarmato” incorporato sotto le suole). Naturalmente all’inizio gli orari in cui riuscivamo a prenotare per giocare erano improbabili: dalle 6 alle 7 della mattina oppure dalle 13 alle 14 del pomeriggio nelle giornate assolate di fine agosto, prendere o lasciare. Poi piano piano i più tenaci erano riusciti a scalare le gerarchie riuscendo anche ad aggiudicarsi orari più ambiti, tra le 18 e le 20 di sera. Il libro per le prenotazioni era posto all’entrata del baracchino, per permettere al gestore di controllare l’affidabilità della prenotazione, ma una volta durante il cambio dell’ora, mentre stava “tirando” il campo, un ragazzino diciamo abbastanza esuberante era riuscito a prenotare tutta la settimana dalla 6 alle 7 di mattina firmando con i nomi di Panatta, Borg, Barazzutti, Bertolucci…. Ci vollero almeno un paio di alzatacce alle 5 di mattina per capire che di queste giocatori non si sarebbe mai presentato nessuno. Da quel giorno le modalità di prenotazione diventarono ancora più restrittive…