Consiglio Comunale 1978

Gennaio 1985 neve, neve, neve e ancora neve….
In pochi giorni, tutta quella che era caduta, aveva stravolto il paesaggio e Cortemaggiore, sommerso, sembrava un paese nuovo. La neve aveva coperto tutto.
In un silenzio irreale, affondando le gambe fino alle ginocchia , quel giorno, con gli amici, ci siamo fatti strada a fatica verso i giardini trasformati di colpo e come per magia , in un immenso parco di divertimenti. Dopo un breve momento di meraviglia e stupore, per il paesaggio fiabesco che appariva davanti a noi, ricordo l’irresistibile tentazione comune e praticamente simultanea, di lasciarci cadere abbandonati, chi di pancia chi di schiena, tuffati nel soffice manto bianco , ridendo di gusto per quelle sensazioni nuove e per quel senso di improvvisa inaspettata libertà. Mangiare la neve, lanciarsela addosso, modellarla per scatenare altre risate. Che gioia ! Le scuole restarono chiuse in quel periodo ed il solito mondo sembrava essersi fermato. A noi ragazzi , liberati di grazia da impegni di studio , non restò che goderci il regalo inaspettato di quel tempo sospeso in uno scenario irreale.
Elisabetta Corti
Cortemaggiore mi ha visto perlopiù bambina.
Viarubiniventicinque, risuona nella mia mente come un campanello che risveglia memorie, e rivedo il portone d’ingresso e il corridoio al piano terra che portava al cortile, sì, quello dei giochi bambini di tutti noi piccoli del numero 25. Il cortile coi fiori del nonno , il rosso dei gerani e il celeste del plumbaco; gli occhi vigili del nonno sempre attenti che non ci facessimo troppo male e che il nostro pallone non danneggiasse le piante. Corrado ed Elena, Paola e Marco, Silvia ed io, i garage erano le nostre stanze da gioco, teatro per gli spettacoli per i genitori, infiniti giri in bicicletta, palla prigioniera, palle di cartapesta… ginocchia sbucciate sul cemento ruvido di quel cortile, e uccellini caduti dai nidi da nutrire e salvare da una sorte avversa.
L’orizzonte si allargava quando ci veniva permesso di giocare nella via con nuovi compagni e nuovi giochi: l’elastico alle caviglie, al polpaccio, alle ginocchia, sempre più difficile… e il giro del palazzo con la bici , via San Lorenzo e via Libertà, passando davanti a Narboni che vendeva acqua e bevande e vino, risento quell’odore di cantina che si respirava all’interno.
Rivivo il calore della mia casa quando nelle sere d’inverno scrutavo la nebbia attraverso i vetri della finestra. E l’incanto della vigilia del 13 dicembre quando aspettavamo con grande emozione il passaggio di Santa Lucia. La magia di quella notte nel sentire la campanella nella strada generava in me paura e felicità insieme che culminavano nel rinnovato stupore di trovare al mattino, ogni anno, i doni tanto attesi e desiderati.
Questo e molto altro vorrei raccontare della mia permanenza a Cortemaggiore in quegli anni. Mi limito a ciò che ricordo del periodo trascorso in via Rubini prima che la vita mi conducesse a vivere lontano, nelle Marche, dove con fatica ho imparato a lasciare andare il passato e conservarne con grande tenerezza i ricordi.
DM
Ho vissuto a Cortemaggiore negli anni ’70 con la famiglia, per motivi di lavoro. Un paese accogliente, con molte iniziative che facevano capo all’Oratorio… le Signorine Maria e Irma gestivano il bar e i locali vari di svago per i giovani. Il loro gelato artigianale (unico) era buonissimo…i giovani si ritrovavano in un ambiente sano, socializzando… le Signorine sempre vigili ….non solo al bar!! Era un ambiente che dava tranquillità a noi genitori che eravamo molto attenti all’educazione e formazione dei nostri figli…
Nel palazzo dell’Oratorio, al primo piano, aveva sede anche il Centro Addestramento AGIP di Cortemaggiore, dove si tenevano corsi di vari livelli per il personale addetto agli impianti di perforazione e produzione. Io da S. Donato, sede centrale, ero stata trasferita a Cortemaggiore. Il buon Mattei aveva dato modo, con il lavoro di riunire persone provenienti da ogni parte d’Italia, e Cortemaggiore aveva tratto vantaggio da questo cambiamento…da paese “agricolo” era diventato “industriale” e tutti ne avevamo tratto vantaggio…
Romana Ziliani
A Cortemaggiore, per noi bambini degli anni 70, l’estate trascorreva spensierata in strada, sotto casa. Liberi di gestirci , di inventare giochi e situazioni, senza adulti accanto a suggerirci continuamente cosa fare e come fare. Abitavo negli Strettini in quegli anni e Via Ziotti era piena di vita e di attività, di luci e di rumori. Ci passo ancora ogni tanto, per riscoprire qualche antica sensazione, e mi rattrista vedere alcune case disabitate, con gli infissi rovinati dal tempo e dall’abbandono, le saracinesche arrugginite abbassate sui negozi che un tempo illuminavano la via, ora troppo buia e silenziosa. Provenendo da Via Garibaldi, imboccando gli Strettini, sulla sx c’era la sartoria di Gualazzini, mi sembra ancora di sentirlo il rumore delle macchine da cucire, la musica della radiolina ed il brusio delle sarte che sotto la supervisione, prima di Stefano, poi di suo figlio Gianni, confezionavano abiti da uomo su misura , di ottima qualità. Noi bambini, afferrando le grate delle finestre ci arrampicavamo sul muro per sbirciare dentro, salutare e poi scappare divertiti, qualche volta anche con le ginocchia grattate. Di fronte c’era il negozio di fiori delle sorelle Filiberti , due donne sempre molto silenziose e all’apparenza severe che avevano allestito il negozio in uno stanzino angusto e buio , piuttosto triste, ma che d’estate si riempiva di colori dentro e fuori; vasi di fiori ovunque, sul marciapiede, sugli scalini e appesi alle inferriate delle finestre. Proseguendo in direzione dei giardini, sul lato sx della via c’era il negozio di Pierino il barbiere e accanto il negozio di elettrodomestici di Dante Ghizzoni, un uomo robusto e di poche parole che aveva l’abitudine di riposare in macchina nella pausa pranzo. Ci divertiva restare a guardarlo mentre, abbandonato sul sedile davanti, russava sonoramente con la bocca spalancata. In fondo alla via, poco prima dell’asilo Verdi, c’era il negozio di parrucchiere di Rosanna e Fernanda dalle cui finestre si udiva incessante il rumore dei phon misto alle chiacchiere e alle risate delle clienti. In mezzo a tutte queste attività c’eravamo noi, schiamazzanti bambini felici e un po’ selvaggi , in strada dalla mattina alla sera ad esasperare i lavoratori, in particolare il povero Pierino che vedeva continuamente minacciata la sua vetrina dai nostri palloni e che spesso usciva brandendo il rasoio a mo’ di coltello, dicendo con tono pacato ma deciso “ Des cul balon lè val taj “, ma noi sapevamo che le sue minacce in dialetto erano bonarie e, dopo una breve pausa di qualche minuto, ricominciavamo a giocare. Diverso era quando la minaccia era scandita in italiano, voleva dire che la sua pazienza era davvero giunta al limite e se riusciva a prenderci il pallone, non potevamo far altro che sperare che si trattasse solo di un sequestro. Per riscattare il pallone sapevamo infatti cosa bisognava fare: pulire la vetrina o spazzare i capelli appena tagliati e rimasti sul pavimento . Povero Piero se n’è andato anche lui in questo anno orribile, ed il dispiacere è stato grande. Se ne va con lui una parte della nostra infanzia spensierata, incontrarlo ogni volta davanti al nuovo negozio sotto i portici, voleva dire ridere ancora del suo tormento per i nostri palloni ed ogni volta sentirlo sospirare “ ah ragass im fat tribulà abota ” .
Elisabetta Corti
Questa mattina anche a Cortemaggiore, come in tutto il nord Italia, ci siamo risvegliati con una candida sorpresa: la neve, caduta in abbondanza tutta la notte, aveva ricoperto tutto e continuava a scendere con insistenza!
“Presto, usciamo a fare qualche foto !!! “
Via Libertà è sempre stata una via particolare del nostro paese soprattutto per chi, come il sottoscritto , ha trascorso lì i primi ventisette anni della sua vita. Da una parte i “Trai”, dalla parte opposta i palazzi popolari figli del boom edilizio dei primi anni 50. E dietro questi l’aperta campagna. Anche la strada a differenza delle altre del centro storico era molto più ampia, lunga e diritta e per noi ragazzi era un campo giochi ideale viste le poche macchine che circolavano in quegli anni. Quante partite di pallone, con i nostri maglioni che delimitavano le porte e quante sgridate dagli abitanti soprattutto anziani dei palazzi. La larghezza della strada permetteva anche la disputa di altre discipline, come atletica e ciclismo, mentre gli inverni lunghi e freddi di quei periodi ci davano anche la possibilità di praticare sport invernali tipo bob o slittino utilizzando cartoni che con cura conservavamo proprio per questa evenienza. Il sale a quei tempi era utilizzato solo per condire gli alimenti, e le strade potevano restare ghiacciate per settimane, per la gioia di noi ragazzi (meno per quella degli adulti…) Il campo giochi terminava però al cartello “Zona del silenzio” a pochi metri dall’ ospedale. Mi ha sempre affascinato quel cartello, pensavo che all’ interno non si potesse né giocare ma neppure parlare troppo forte e spesso i ragazzi che abitavano in quella zona venivano in trasferta dalle nostre parti. Io vivevo in uno dei due primi palazzi costruiti, vicino alla Fabbrica e questo era spesso oggetto di discussione con gli altri ragazzi che vivevano nei palazzi costruiti in seguito e sicuramente rifiniti meglio. Solamente il fatto che noi avessimo le persiane mentre gli altri avevano le tapparelle era un problema non di poco conto…Non mancava una certa rivalità tra le due zone ma anche tra i ragazzi dei trai e quelli dei palazzi. Quante battaglie a palle di neve nascosti tra i rottami agricoli che riempivano il “campo di Baderna” di fronte al nostro palazzo e dove si vociferava la presenza di serpenti e topi di dimensioni enormi. La sera però arrivava la tregua, quando, soprattutto durante l’estate ottenevamo il permesso dai nostri genitori di attraversare la strada ed andare ad ascoltare le favole della Peppina. Chi con la sedia portata da casa, chi accovacciato per terra, ci stringevamo intorno a lei mentre imperterrita continuava a sferruzzare a maglia per ascoltare storie fantastiche che ci facevano volare verso castelli fatati o battaglie contro draghi. In quelle sere calde la via era viva e brulicava di gente. Chi come noi aveva davanti all’entrata una piccola rampa di scale restava a prendersi l’ultimo fresco della sera prima di entrare nel forno di casa. Gli adulti parlando tra di loro mentre noi ragazzi ci gustavamo l’ultimo ghiacciolo impiastricciando di vari colori i gradini di ingresso. Gli altri palazzi sopperivano alla mancanza di gradini con le sedie portate da casa e davanti ad ogni entrata sentivi le voci dei giocatori e delle giocatrici di briscola impegnati in partite all’ultimo sangue. “ Dagli un carico”, “ Vai liscio”… Poi d’improvviso calava il silenzio, rotto solo dall’ abbaiare di qualche cane randagio che l’accalappiacani non era ancora riuscito a catturare e naturalmente il tifo di noi bambini era per il cane.. Passando a trovare mia madre in quel palazzo di Via Libertà 39 mi rendo conto che nessuno dei vecchi condomini è rimasto. Molti appartamenti sono rimasti vuoti con le persiane chiuse e con il cartello “vendesi” attaccato fuori. Un condominio negli anni ‘60 era una faccenda ben diversa rispetto ad adesso, c’erano moltissimi bambini ed erano rappresentate diverse generazioni, dalla prima infanzia alla giovinezza ma con lo scorrere del tempo non è mai più stato così. A quei tempi un condominio era un piccolo mondo coeso, ci si conosceva tutti e ognuno aveva le sue caratteristiche: uno era celebre per il pollice verde, l’altro per l’indiscussa abilità nei lavoretti, su alcuni potevi sempre contare e puoi star certo che c’era sempre qualche mamma o qualche nonna che preparava ottimi dolci. Oramai tutto è ben diverso, di coeso non c’è più nulla, e magari fosse solamente una questione di vetustà di infissi….
Mario Cavalli
La bottega di Santi, per noi ragazzi di quei tempi, era l’antro magico delle cose proibite dove con 10 lire potevi regalarti qualche minuto di felicità. Un posto riservato a due generazioni contrapposte, noi bambini, affascinati da tutta quella miriade di leccornie spesso introvabili da altre parti e i nostri nonni, un po’ nascosti all’interno di un minuscolo retrobottega a rovinarsi il fegato con del vino che non aveva nulla da invidiare a quello al metanolo dei Fratelli Ciravegna assurto alla cronaca nera una ventina di anni fa. Non che i nostri dolciumi fossero da meno in fatto di sofisticazioni. Io ad esempio mi chiedo ancora cosa mettessero all’interno di quelle bottigliette a forma di biberon di svariati colori ma dai sapori sempre uguali, fossero gialle, rosse o verdi. Probabilmente solo acqua e zucchero, ma ricordo anche la sfilza di coloranti indicata sulle bottigliette: E121, E122 e anche il famigerato E123 che dava quel caratteristico color rosso amaranto. Noi ragazzi ne bevevamo in quantità industriali, anche perché il contenuto era veramente misero. C’era poco da fare, se sopravvivevi agli anni 60 diventavi praticamente immune ai coloranti, all’amianto, alle sostanze presenti nel Piccolo Chimico. Se le bottigliette erano il piatto forte della bottega di Santi, penso che ognuno di noi si ricordi di un proprio prodotto preferito. I coni gelato di zucchero, di un dolciastro esagerato che credo abbiano fatto la fortuna del Dott. Volpini, il dentista del paese, la polvere di castagne contenuta in una bustina come quella delle figurine, le giuggiole, i rotoli di liquerizia, i bastoncini sempre di liquerizia, erano sufficienti 5 lire per portarti a casa 5 golia ed aver fatto giornata. Non mancavano anche i gelati confezionati, ma i più gettonati erano i ghiaccioli (io li ricordo a 20 lire). Da Santi potevi trovare sapori “esotici” tipo anice e tamarindo che in altri bar erano introvabili. La bacheca delle paste ho sempre pensato fosse puramente coreografica, paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi di artigianato. I più fortunati la domenica, giorno dedicato alla messa e alle paste, riuscivano a portare a casa qualche cannoncino o bignè, di dimensioni esagerate che poteva sfamare un’intera famiglia. Ma se arrivavi tardi erano dolori: erano rimaste quelle paste di sfoglia con un pizzico di zucchero a velo sopra che non davano piacere neppure alla vista, figuriamoci al gusto…E che dire del titolare e delle due sorelle ? Per noi bambini sembravano anziani folletti usciti da qualche favola dei fratelli Grimm pronti a dispensare gioia e felicità. Non so perché ma mi torna sempre in mente la maniglia della porta di ingresso, così diversa da quelle moderne, sia per fattezze che per materiale usato, il legno. Sembrava proprio di attraversare una porta magica ed entrare in un’altra dimensione. Ricordo, dopo qualche anno, quando ormai questo posto unico non era più per noi ragazzi una tappa obbligata delle nostre scorribande in paese, di aver visto le serrande abbassate e di aver immediatamente capito che l’era della bottega di Santi era ormai terminata così come la nostra giovinezza.
Mario Cavalli
L’ascolto di un brano e il clima caldo di questi giorni mi hanno riportato alla memoria un periodo bellissimo che ricorderò per sempre…. Luglio anni 90 quelli di Baggio e delle notti magiche…quelli che quando in sella al mio “ciao” bianco e con i miei compagni d’avventura, tiravo pecorella (lui che aveva solo una bici dell’800 ) e si andava nei campi oltre san Pietro in cerro a raccogliere l’aglio. Finita la giornata tornavamo in paese e la tappa fissa era il campo da tennis. Una volta entrati la prima cosa che ci veniva detta era “siete stati in piscina ?”… Le risposte le lascio immaginare e si cominciava cosi a ridere con “battute su battute” (tanto era un campo da tennis).
Chi giocava sul campo di terra rossa si girava scocciato chiedendo un po’ di silenzio e noi imitando lo speaker “quiet please “… (e giù a ridere) Milo serra continuava imperterrito a raccontare barzellette e noi cercavamo di stare in silenzio ma era impossibile ricordo che Mario Cavalli cervava di riportare la serietà “dai milo lasa le “… missione impossibile.
A noi, che più che altro giocavamo a calcio, piaceva però prenotare qualche ora a tennis… ma era sempre occupato! I nomi che ricordo sempre stampati sul foglio delle prenotazioni erano quelli di Gambazza e Maffini Ivo, Cavalli, Compiani e anche Serra ma per noi ragazzini le uniche ore libere erano quelle che non voleva nessuno quelle dove con 40 gradi all’ombra non riuscivi nemmeno a vedere la pallina tanto era il sudore che ti grondava negli occhi e la polvere rossa sollevata creava un’aria irrespirabile tanto che avevamo una bandana sulla fronte ed una al collo…
Però quanto sono stati belli quei tempi ? Ora vi chiederete…. Qual è la canzone che ha ricordato tutto questo e soprattutto chi era pecorella ? Rimarrà un segreto nascosto in uno spicchio d’aglio.
Filippo Corti
A cavallo degli anni 60 /70 le piscine erano ancora per noi ragazzi, abituati alle partite di strada o al massimo allo spelacchiato campetto dei frati, impianti ammirati solo durante le Olimpiadi in tv o nelle foto delle ville di qualche riccone di quei tempi. Si narrava di una piscina a Salsomaggiore, ma con acqua calda e da uno strano sapore, e la maggioranza di noi storceva la bocca solo a parlarne. Eppure, in quelle assolate estati della nostra giovinezza, il ghiacciolo all’anice o al tamarindo non bastava più a soddisfare il nostro desiderio di fresco. L’Arda, che era stata piscina e anche mare dei ragazzi più grandi, stava iniziando quel processo di inquinamento irreversibile che continua ancora ai giorni nostri ed era ormai impossibile pensare di rinfrescarsi in qualche “bucone” del torrente tra Cortemaggiore e Fiorenzuola come si faceva fino a pochi anni prima. Le alternative non erano molte, qualche cava della RDB , con un fondale viscido e torbido che a molti non piaceva, oppure i canali di irrigazione dalle parti di Polignano, con acqua fresca e limpida che scendeva dalla diga e che dava l’impressione ai noi ragazzi di nuotare in qualche torrente di montagna. Ricordo la partenza di spedizioni di ragazzi in bicicletta nei pomeriggi estivi e i tuffi e le nuotate in quei vasconi di cemento che ai nostri occhi erano meglio di Rimini o Riccione. E il ritorno a casa stanchi, bruciacchiati dal sole, ma soddisfatti per la giornata passata. Sinceramente non saprei dire quanto di pericoloso ci fosse in queste avventure, ma sicuramente la soglia del pericolo a quei tempi era molto diversa da quella dei giorni nostri…Poi, arrivarono le prime piscine private: il Colle e il Mondo Blu, con i primi “Ciao” o Garelli che trascinavano attaccati al braccio del guidatore i ragazzi in bicicletta ancora sprovvisti di motorino (tanto per restare in tema di pericolo..). E allora le spedizioni ai vasconi di Polignano sparirono in fretta così come erano iniziate e con questo anche un pezzetto della nostra gioventù.
Mario Cavalli